Metodi per studiare la Bibbia

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Ci12733-Bible_Devotional_Coffee.800w.tn[1] si può accostare alla Bibbia in svariate maniere. La migliore dovrebbe essere quella di studiare un libro alla volta. Vanno però tenuti presenti alcuni importanti fattori che, se ben applicati, renderanno lo studio stesso non solo più interessante, ma anche più sicuro. Di ciascun libro della Bibbia prima di tutto si deve cercare di conoscere chi lo ha scritto, quando fu scritto, dove fu composto, in quali circostanze e perché, e infine a chi fu diretto

Chi lo ha scritto?

La prima e più naturale ricerca riguarda ovviamente la paternità di uno scritto. Ogni autore immette nella propria opera una caratteristica personale che gli fa scegliere parole e immagini, ma la ragione più valida per identificarne l’autore non dev’essere l’appagamento di una curiosità, bensì la ricostruzione del personaggio la cui storia può risultare molto più informativa dello scritto stesso. Un esempio: per meglio comprendere la complessa problematica dei difficili rapporti tra i cristiani provenienti dal Giudaismo e i cristiani provenienti dal paganesimo, come traspare dalla Lettera ai Romani, gioverà conoscere le vicende personali dell’autore (l’apostolo Paolo). Anche Paolo se non condivideva l’impostazione data dai giudeo-cristiani, che s’irrigidivano nell’accettazione prioritaria dell’Antico Testamento per l’ammissione dei proseliti provenienti dalla religione pagana, conosceva benissimo il problema, in quanto egli stesso era stato un esponente del fariseismo (Filippesi 3:4-11; cfr. Atti 22:3-5).

Pietro, invece, non essendo stato fariseo, non lascia trasparire nei suoi scritti un grande interesse per quella problematica. Analogamente, ogni studioso della Bibbia, sa benissimo che Luca, pagano di nascita, riflette nei suoi scritti lo stile e la mentalità del mondo greco. Ciascun libro della Scrittura si caratterizza per la peculiarità del vocabolario del suo autore

Quando fu scritto?

Siccome la collezione dei 66 libri che chiamiamo Bibbia è raccolta in un unico volume, molti dimenticano ch’essa fu composta nel corso di parecchi secoli. L’elemento tempo assume rilievo notevolissimo anche per la comprensione sia dell’insieme che di un singolo libro. Ad esempio, la primissima corrispondenza di Paolo (le lettere ai Tessalonicesi) rivela un accento particolare posto sul ritorno di Cristo come imminente, cosa che non traspare invece nelle successive epistole (ai Corinzi e ai Filippesi). Nelle prime, infatti, si avverte quasi la sensazione di Paolo di trovarsi ancora in vita quando la fine avverrà (1Tessalonicesi 4:15), mentre nelle seconde egli ha già mitigato tale sensazione (Filippesi 1:19-26). Per quanto riguarda l’Apocalisse, scritta verso la fine del primo secolo, quando c’erano stati numerosi tentativi di abbattere il movimento cristiano, riscontriamo la diminuita intensità delle esortazioni all’ubbidienza verso le autorità, accompagnata ad una più decisa esigenza di fedeltà verso Cristo. La preoccupante piega che stavano prendendo le persecuzioni contro il popolo di Dio spinse lo scrittore sacro a mitigare le consuete espressioni di amorosa pacatezza, privilegiando Ie complicate visioni di conflitti celesti e di battaglie decisive. Vista sotto quest’ottica l’Apocalisse ci suggerisce non solo una speranza di vittoria finale da parte dell’Agnello, ma anche la tremenda responsabilità che grava su ciascun figliuolo di Dio, chiamato a esprimere una fedeltà assoluta come condizione per il premio definitivo

Dove fu composto?

La località dove un certo scritto ebbe origine assume una grande importanza per la comprensione di determinate espressioni. Ad esempio, quando l’apostolo Paolo si dichiara “il prigioniero di Cristo” è utile rammentare quale potesse essere il suo stato d’animo in una fredda e oscura prigione romana (Filemone 1). Ancor più importante della località specifica è l’ambiente. Prendiamo un esempio dall’A.T.: il profeta Amos annunciava l’imminente crollo del Giudaismo, ma lo faceva parlando a Bethel, il santuario regale d’Israele. Siccome quel santuario era emblematico della ribellione, dell’immoralità e della corruzione sia della casa reale che della casta sacerdotale, quale luogo migliore di Bethel avrebbe potuto ricevere il messaggio divino? Amos fu chiamato ad avvertire Bethel (= casa di Dio) che il Signore sarebbe apparso alla Sua casa ed avrebbe colpito il Tempio! Quando chi legge la Bibbia riscontra talune analogie tra la Corinto di allora e qualunque metropoli di oggi, dove cultura, religione e commercio si immischiano, non avrà difficoltà a capire i problemi apparentemente incredibili che Paolo affrontò nelle sue due lettere. Corinto era una città pagana dove si soleva prender parte ai festini successivi ai sacrifici di carne agli idoli (1Corinzi 10:14-30) ritenendo di acquisire la natura e la potenza dell’idolo stesso. L’individualismo del mondo greco spiega le divisioni esistenti in quella chiesa, con preferenze per questo o quel predicatore (1Corinzi 1:10-17). Ogni studente della Bibbia può ricavare tali notizie dai sussidiari specializzati.

In quali circostanze fu scritto, e perché?

A differenza di oggi, che con relativa spesa chiunque può far stampare un libro, nel mondo antico perfino una lettera veniva scritta solo per particolari motivi. I libri non erano cosa di tutti i giorni; ogni scrittore biblico scrisse per una ragione precisa. Qualcuno lo fece per guadagnare proseliti (Vangelo di Giovanni) altri per correggere le deviazioni di quelle comunità verso cui l’Autore era più direttamente interessato (Galati, Corinzi, ecc.) oppure per impartire precise disposizioni. Altri ancora erano spinti a mettere per iscritto la storia della Chiesa (Atti). Il motivo che spinse un Autore a indirizzare un determinato messaggio non deve suscitare nel lettore false impressioni né suggerire errate interpretazioni. E quando si arriva a comprendere che Giovanni scrisse l’Apocalisse con lo scopo preciso di incoraggiare i credenti a perseverare nella fede, sicuri della vittoria finale, non si può scioccamente cercare di attribuire l’identità dell’Anticristo a personaggi come Hitler, Mussolini, Stalin o chissà chi!

A chi fu diretto?

Al di là del destinatario immediato, individuo o congregazione, va esplorata ogni possibile applicazione ad altri destinatari non specificati. La lettera di Giacomo, ad esempio, diretta “alle dodici tribù che sono nella dispersione” deve intendersi rivolta a tutti i Giudeo-cristiani che vivevano lontani dalla Palestina e ciò spiega il riferimento alla fede del pellegrino Abramo (Giacomo 2:21-24). Paolo scrisse ad alcuni credenti che non conosceva personalmente (Lettera ai Romani), per cui è anche comprensibile la sua determinazione di presentarsi come messaggero del Vangelo della salvezza. Egli scrisse pure a cristiani che lo conoscevano molto bene, ma ad essi si rivolgeva come un padre farebbe con i figliuoli (2Corinzi 6:13), mentre con quelli che conosceva relativamente impiegava un tono più distaccato (Tessalonicesi). In alcuni casi lo scrittore di un libro adottò due diversi toni. Geremia, ad esempio, iniziò il suo libro minacciando disastri contro la superba e iniqua Gerusalemme (5:12-15), ma dopo l’avvenuta afflizione, quando il popolo era stato deportato a Babilonia, rivolse ai figliuoli di Dio contriti e disperati i più accorati messaggi di speranza (31:29-34).

Il punto di vista biblico

Uno degli elementi decisivi che rendono proficuo oppure inutile lo studio della Bibbia è la capacità di vedere le cose dal punto di vista della Scrittura. La nostra visione delle cose è senza dubbio determinante quando leggiamo qualunque libro, ma quando si tratta della Bibbia non sempre le nostre idee preconcette ricombinano con quelle degli scrittori sacri, e non sono certo queste ultime a doversi adattare alle nostre, ma viceversa! Se la Bibbia è la Parola di Dio, ne dovrebbe conseguire una logica adesione a quanto ci è stato rivelato. Se in un individuo si è già formata nella propria mente l’idea naturalistica del mondo, quando comincerà a leggere le Scritture scoprirà immediatamente una notevole divergenza di concetti. Secondo la Bibbia, infatti, la Natura non possiede esistenza propria e indipendente, ma è subordinata al volere di Dio, per cui quel lettore avrà difficoltà a recepire accuratamente il retto messaggio. I punti di vista sono tanti quanti sono gli individui, e variano da epoca ad epoca. La visione naturalistica della vita, senza riguardo alla divinità, non è una scoperta del nostro tempo, così come non è di oggi la visione opposta, che vede Dio in ogni cosa e che ogni cosa è Dio. Visioni di tal genere mal si adattano alla ricezione del linguaggio biblico che parla di Dio Creatore e Rettore della creazione.

Uno dei settori in cui forse meglio che in altri si può notare la diversità dei punti di vista è proprio la creazione. Nella storia delle religioni sono state offerte svariate risposte: la Natura e i fenomeni naturali, l’esperienza mistica, la ragione e l’investigazione filosofica, la visione prospettica della Rivelazione. Proprio quest’ultima concezione spiega Dio e lo rivela: anzi, è Dio a togliere quel velo che nasconde all’uomo la conoscenza della divinità.

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