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La responsabilità di Adamo

Strettamente parlando, vi sono solo due uomini sulla terra che furono dotati di responsabilità piena e non pregiudicata, e questi furono il primo e l’ultimo Adamo. La responsabilità di ciascuno dei discendenti d’Adamo, com’esseri razionali, era reale, e sufficiente per renderli responsabili di fronte al loro Creatore. Essa, però, è limitata per grado, limitata perché è pregiudicata dagli effetti della Caduta.

La responsabilità di ciascun discendente d’Adamo, non solo è sufficiente a renderlo personalmente responsabile in quanto creatura (vale a dire che dovrebbe fare ciò che è giusto e non dovrebbe fare ciò che è sbagliato), ma originalmente, ciascuno di noi era pure dotato, legalmente, di responsabilità piena e non pregiudicata, non in noi stessi, ma in Adamo. E’ necessario sempre rammentarci che Adamo non era solo fisicamente il padre della razza umana, ma che pure legalmente era capo della razza umana.

Quando Adamo fu posto nell’Eden, egli vi stava come nostro rappresentante, tanto che ciò che egli fece fu messo in conto pure a ciascuno di noi, quelli per i quali egli agiva. Va oltre ai limiti delle nostre intenzioni in questo saggio, entrare in una dettagliata descrizione del fatto che Adamo sia stato il nostro rappresentante e capo federale. Sarebbe molto importante presentare in modo circostanziato questa verità, della quale c’è oggi gran bisogno, ma speriamo di poter trattare presto quest’argomento in un altro libro. Basti ora, però, indirizzare il lettore a Romani 5:12-19, dove questa verità è trattata dallo Spirito Santo. Al cuore stesso di quest’importantissimo testo, c’è detto che Adamo era “figura di colui che doveva venire” (14)., vale a dire di Cristo. In che senso, quindi, Adamo era “la figura” di Cristo? La risposta deve essere: nel fatto che egli era un Capo federale, il quale agiva in nome e per conto della razza umana. Egli era colui che, non solo legalmente, ma in senso vitale, aveva influito su tutti coloro che sono connessi a lui. E’ per questa ragione che il Signore Gesù, in 1 Corinzi 15:45, è denominato “l’ultimo Adamo“, cioè il Capo di una nuova creazione, allo stesso modo in cui il primo Adamo era capo della vecchia creazione.

In Adamo, quindi, si trovava già ciascuno di noi. Adamo aveva agito come rappresentante della razza umana. Come, perciò, Adamo era stato creato con responsabilità piena e non pregiudicata, non pregiudicata perché non c’era in lui alcuna natura cattiva, e dato che noi tutti eravamo “in Adamo”, ne consegue necessariamente che tutti noi, originalmente, eravamo pure dotati di responsabilità piena e non pregiudicata. Nell’Eden, quindi, non era stata messa alla prova semplicemente la responsabilità d’Adamo come persona singola, ma la responsabilità umana come tale, la responsabilità dell’intera razza, come un tutt’uno.

Webster definisce la responsabilità prima come “passibile di dover rendere conto”, poi come “in grado di adempiere ad un obbligo”. Il significato e l’estensione del termine “responsabilità”, forse, potrebbe essere espresso e riassunto in una parola: “passibilità al dovere”. Nei confronti di Dio, la responsabilità fa riferimento a ciò che la creatura deve al suo Creatore, e che la creatura ha l’obbligo morale di rendere.

Alla luce della definizione or ora data, diventa subito chiaro come la responsabilità sia qualcosa che debba essere messo alla prova. E’ un fatto, questo, che apprendiamo dalle stesse Sacre Scritture, esattamente ciò che risulta esservi stato nell’Eden. Adamo era stato messo alla prova. Doveva essere verificato se avesse onorato i suoi obblighi verso Dio, la sua lealtà verso Dio. Il test, la prova, consisteva nell’ubbidienza ai comandi del suo Creatore. Di un certo albero era stato proibito mangiare. E’ proprio a questo punto, però, che si presenta a noi una difficoltà. Dal punto di vista di Dio
il risultato della prova d’Adamo non era soggetto a probabilità: il risultato era certo. Prima di averlo formato dalla polvere della terra e prima di avere soffiato in lui l’alito vitale, Dio conosceva esattamente quale sarebbe stato il risultato di questa prova. Ogni cristiano deve essere d’accordo con quest’affermazione: negare, infatti, la precognizione di Dio significa negare la Sua onniscienza, e questo sarebbe rinnegare uno degli attributi fondamentali di Dio.

Dobbiamo, però, andare persino oltre questo: non solo Dio aveva conoscenza perfetta del risultato della prova d’Adamo, non solo il Suo occhio onnisciente già vedeva Adamo mangiare il frutto dell’albero proibito, ma pure Egli aveva decretato che così avrebbe dovuto essere. Questo fatto è evidente non solo dall’assunto che non c’è nulla che accade che pure Dio, Creatore e Governatore dell’universo, non abbia eternamente decretato dover accadere, ma dalle espresse dichiarazioni della Scrittura al riguardo di Cristo come Agnello sacrificale di Dio: “Già designato prima della creazione del mondo” (1 Pi. 1:20). Se, allora, Dio preordinò, già da prima della creazione del mondo che Cristo dovesse, a suo tempo, essere offerto come Sacrificio per il peccato, allora è incontestabilmente evidente che Dio abbia pure preordinato che il peccato entrasse nel mondo, e se è così, com’è così, che Adamo dovesse trasgredire e fallire. In piena armonia con tutto questo, Dio stesso pose nell’Eden l’albero della conoscenza del bene e del male, e pure permise al Serpente di entrare in scena e di ingannare Eva. Qui sta, allora, la difficoltà: se Dio aveva eternamente decretato che Adamo mangiasse da quell’albero, in che modo è possibile renderlo responsabile e dire che avrebbe potuto non mangiarne?

Il problema appare davvero complesso all’estremo, eppure una soluzione esiste, una soluzione, inoltre, che sia alla portata della mente finita. La soluzione si trova nella distinzione intercorrente fra volontà segreta di Dio e la Sua volontà rivelata. La responsabilità umana è misurata dalla nostra conoscenza della Sua volontà rivelata, ciò che Dio di fatto ci ha detto, non da ciò che egli non ci ha detto: questo definisce il nostro dovere. Così fu per Adamo. Che Dio avesse decretato che il peccato entrasse nel mondo attraverso la disubbidienza dei nostri progenitori, era un segreto nascosto nel Suo cuore., Di questo, Adamo non sapeva nulla, e questo fa tutta la differenza per quanto riguarda la Sua responsabilità. Quello che doveva importargli era solo la volontà rivelata di Dio, e quella era chiarissima. Dio gli aveva proibito di mangiare il frutto di quell’albero, e questo bastava. Dio, però, va oltre. Dio ammonisce Adamo delle terribili conseguenze in cui sarebbe incorso se avesse disubbidito – la morte ne sarebbe stata la pena.

La trasgressione, quindi, da parte d’Adamo, era del tutto inescusabile. Creato con nessuna natura cattiva in lui, in perfetto equilibrio, posto nel migliore degli ambienti, avendo ricevuto dominio su tutta la creazione inferiore, con tutta la libertà che voleva, eccetto che una sola proibizione, avvisato chiaramente su quali sarebbero state le conseguenze d’un atto d’insubordinazione a Dio, avrebbe potuto benissimo preservare la sua innocenza. Se fosse caduto, ciononostante, secondo ogni principio di giustizia, la responsabilità, il sangue, sarebbe caduto unicamente sulla sua testa, e la sua colpa sarebbe stata imputata a tutti coloro nel nome dei quali egli agiva. Se Dio avesse rivelato ad Adamo i Suoi propositi sul fatto che il peccato sarebbe entrato nel mondo, e che Egli aveva già decretato che egli mangiasse ilo frutto proibito, è ovvio che Adamo non avrebbe potuto essere ritenuto responsabile per averlo mangiato. Dio, però, non fa conoscere ad Adamo i Suoi consigli, e quindi, Egli non interferisce con la sua responsabilità.

Ancora, se Dio avesse creato Adamo con una propensione al male, allora l’umana responsabilità sarebbe stata pregiudicata e Adamo sarebbe stato messo alla prova solo per finta. In quanto, però, Adamo era stato incluso fra ciò che Dio, al termine del sesto giorno, aveva dichiarato essere “molto buono”, e in quanto, come uomo, egli era stato fatto “retto” (Ec. 7:29), allora “ogni bocca deve essere messa a tacere”, e “tutto il mondo” deve riconoscersi colpevole verso Dio (Ro. 3:19).

Ancora una volta, bisogna qui bene rammentarci come non è che Dio decreti che Adamo debba peccate per poi iniettare in lui un’inclinazione al male, affinché questo possa realizzarsi, no: “Nessuno, quand’è tentato, dica: «Sono tentato da Dio»; perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno” (Gm. 1:13). Al contrario, quando il Serpente viene a tentare Eva, Dio le fa rammentare il comando per cui era stato loro proibito di mangiare dal frutto dell’albero del bene e del male, come pure delle conseguenze penali in cui sarebbero incorsi se l’avessero fatto! Iddio, così, pur avendo decretato la Caduta, in nessun senso Egli può essere considerato l’Autore del peccato d’Adamo, così come in nessun punto la responsabilità di Adamo ne risulti pregiudicata. Possiamo così ammirare la “molteplice sapienza di Dio” nel disporre un modo per il quale fosse realizzato il Suo eterno decreto, preservando intatta la responsabilità delle Sue creature.

E’ necessario, forse, aggiungere qualche parola sulla volontà di Dio come decreto, particolarmente in rapporto al male. In primo luogo, dobbiamo affermare senza alcun’ombra di dubbio, che tutto ciò che Dio fa o permette, è giusto, retto e buono per il semplice fatto che Dio lo faccia o lo permetta. Quando Lutero rispose alla domanda: “Perché Dio permette ad Adamo di cadere e di corrompere l’intera sua posterità, mentre avrebbe benissimo potuto impedirgli di cadere?”, egli dice: “Dio è un Essere la cui volontà non riconosce alcuna causa, né spetta a noi prescrivere regole secondo le quali Egli debba agire, né chiamarlo a rendere conto di ciò che fa. Egli non ha né superiori né pari, ed è la Sua volontà ad essere la regola d’ogni cosa. Egli non fa questo o quest’altro perché sia giusto fare così, tanto che Egli sia costretto a farlo. Ciò che Egli fa è giusto e retto semplicemente perché è Lui a fare e volere così. La volontà dell’uomo, indubbiamente, può essere influenzata e mossa, non però la volontà di Dio. Asserire il contrario significherebbe spogliarlo della Sua divinità “(De Servo Arbitrio, c. 153).

Affermare che Dio abbia decretato l’ingresso del peccato nel Suo universo, e che Egli abbia prestabilito tutti i suoi frutti ed attività, significa dire ciò che, di primo acchito, potrebbe sorprendere il lettore. Se però si riflette bene sopra, è molto più sorprendente insistere che il peccato abbia invaso i Suoi domini contro la Sua volontà, e che il suo esercizio si ponga fuori dalla Sua giurisdizione. In tal caso, dove andrebbe a finire la Sua onnipotenza? No, riconoscere che Dio abbia prestabilito tutte le attività del male, significa vederlo come Governatore (e non vittima) del peccato: è la Sua volontà a determinarne l’esercizio, il Suo potere a mettervi un limite (Sl. 76:10).

Dio non è né l’ispiratore né colui che infonde il peccato in alcuna delle Sue creature, ma Egli è il suo Signore. Con questo intendiamo che la gestione, da parte di Dio, dei malvagi è così intera che essi non possono fare nulla se non quello che la Sua mano e consiglio, dall’eternità, ha determinato dover essere fatto.

Sebbene da Dio non sia possibile che mai emani alcunché di contrario alla Sua santità ed alla sua giustizia, ciononostante Egli ha ordinato, per i Suoi giusti fini, che le Sue creature cadessero nel peccato. Se il peccato non fosse mai stato permesso, in che modo si sarebbe manifestata la giustizia di Dio nel punirlo? In che modo la sapienza di Dio avrebbe potuto manifestarsi per sconfiggerla nel modo più totale? In che modo avrebbe potuto la grazia di Dio esercitarsi nel perdonarlo? In che modo avrebbe potuto essere esercitata la potenza di Dio nel sottometterlo? Una prova impressionante del fatto che il Cristo riconosca il decreto divino al riguardo del peccato, è come Egli si comporta con Giuda. Il Salvatore sapeva benissimo che Giuda lo avrebbe tradito, eppure mai leggiamo che Egli n’abbia fatto rimostranze. Al contrario, Egli gli dice: “Quello che devi fare, fallo presto” (Gv. 13:27).

Notate come Egli dica questo dopo che egli aveva ricevuto il boccone e che Satana avesse preso possesso del suo cuore. Giuda era già preparato e determinato a tradire il Maestro e quindi Cristo, con atto permissivo, piegandosi alla volontà del Padre, lo esorti ad andare ed adempiere quell’orribile gesto.

E’ così che Dio non è l’Autore del peccato, e benché il peccato sia contrario alla Sua santa natura, eppure la sua esistenza ed opere non sono contrarie alla Sua volontà, ma susservienti ad essa. Dio non tenta mai un uomo al peccato, ma ha, secondo i Suoi eterni consigli (che ora esegue) determinato il suo corso.

Inoltre, come abbiamo mostrato al cap. 8, sebbene che Iddio abbia decretato il peccato dell’uomo, l’uomo è l’unico responsabile di commetterlo, né Dio può essere per questo rimproverato. E’ stupefacente come questi due lati della questione siano portati assieme da un’affermazione del Cristo stesso: “Guai al mondo a causa degli scandali! Perché è necessario che avvengano degli scandali; ma guai all’uomo per cui lo scandalo avviene!” (Mt. 18:7).

In questo modo, sebbene tutto ciò che avvenne al Calvario fosse avvenuto: “Per il determinato consiglio e la prescienza di Dio” (At. 2:23), ciononostante, “mani malvagie” crocifissero il Signore della gloria, e, di conseguenza, giustamente il Suo sangue è ricaduto su di loro e sui loro figli. Questi sono misteri veramente grandi, eppure è nostro felice privilegio e preciso dovere, ricevere umilmente tutto ciò che Dio si è compiaciuto di rivelare a loro riguardo nella Sua Parola di verità.

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