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Primo Cristianesimo: il distacco dal Giudaismo

1018peter.cetinje[1]Nel processo di diffusione delle prime comunità di cristiani vi furono due momenti particolarmente importanti: il distacco dall’Ebraismo e l’incontro-scontro con il mondo pagano. I primi seguaci di Gesù erano vissuti alla stregua di pii giudei e avevano condiviso la preghiera al Tempio, le proibizioni alimentari e la pratica della circoncisione. Ciò che li differenziava era fondamentalmente il riferimento al nome di Gesù di Nazareth, alla sua vicenda storica e al mistero della sua morte e resurrezione. Per questo erano anche detti “nazareni” (solo quando l’espansione evangelizzatrice giunse ad Antiochia assunsero il nome di cristiani).

Il motivo fondamentale dell’attrito fra ebrei e cristiani era la questione se Gesù fosse il Messia promesso dalle Scritture, come sostenevano i cristiani, o un impostore, come affermavano gli ebrei, che attendevano ancora la venuta del Salvatore di Israele.

Inoltre le regole tradizionali ebraiche, seguite dalla prima comunità di discepoli, erano incompatibili con l’esigenza di rendere il messaggio cristiano fruibile anche dai pagani. Pietro e Paolo, capi di tutta la comunità cristiana, si adoprarono perché i pagani fossero esentati dalle restrizioni alimentari e dall’obbligo della circoncisione e, di conseguenza, il divario fra cristiani e ebrei aumentò. Paolo inoltre approfondì le ragioni teologiche del distacco dall’Ebraismo, sostenendo che la salvezza di ogni uomo derivava non tanto dall’osservanza della legge tradizionale israelitica, come sostenevano gli ebrei, quanto dalla fede nella morte e nella resurrezione di Gesù.

Analogamente si differenziarono gli aspetti liturgici (quelli cioè legati agli aspetti formali del culto). La Chiesa (dal greco ekklèsia “assemblea”) celebrava il battesimo, il momento della conversione del cristiano e dell’ingresso nella comunità dei fedeli; quindi l’eucaristia, ricordo dell’ultima cena e rito sacramentale di unione dei fedeli in Cristo. Questi motivi di opposizione all’Ebraismo contribuirono all’universalizzazione del messaggio cristiano, diventato così accessibile anche ai pagani, ma si cristallizzarono nel corso dei secoli in una feroce polemica, che da parte dei cristiani si basò sull’accusa agli ebrei di “deicidio”, ovvero di aver voluto la morte di Dio, incarnato in Gesù Cristo suo figlio.

In questo periodo inoltre iniziò a costituirsi nella Chiesa una vera e propria gerarchia ecclesiastica distinta dal resto della comunità, guidata dai vescovi (dal greco episkopos: ‘custode”), che poi diverranno capi delle diverse diocesi (distretti amministrativi), e dai presbiteri (dal greco presbyteros “più vecchio”)

Ma la differenziazione dall’ebraismo fu anche all’origine della crescente diffidenza e poi dell’ostilità dell’impero romano. Inizialmente le comunità cristiane avevano fatto riferimento all’autorità imperiale di Roma. Paolo aveva proclamato il dovere di obbedienza all’autorità civile, e a essa si era appellato per ottenere ragione nel dibattito con i giudei. L’imperatore Claudio nel 49 espulse da Roma i giudei in controversia con i cristiani. Finché i cristiani furono confusi con le comunità ebraiche, furono tollerati dalle autorità centrali e provinciali romane, ma quando la loro diffusione si ampliò, si percepì la loro estraneità nei confronti dell’impero e non venne considerato ammissibile il loro rifiuto di venerare l’imperatore come una divinità. Da ciò derivò l’accusa di ateismo e sovversione, e il ricorso ai provvedimenti repressivi che tra il I e il IV secolo, sia pure con diversa intensità, assunsero il carattere di vere persecuzioni. Durante la prima, quella di Nerone del 64 (circoscritta alla sola città di Roma) avvenne secondo la tradizione il martirio di Pietro e Paolo. Nel 70, in seguito alla distruzione di Gerusalemme da parte dell’esercito romano, la comunità cristiana, avvenuta ormai la rottura definitiva con il Giudaismo, si disperse nella Transgiordania. Nuove comunità sorsero in mezzo ai pagani in Asia Minore e la Funzione di Chiesa madre venne assunta da quella di Roma.

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Le persecuzioni più gravi furono le ultime: quella di Decio nel 250, estesa a tutto l’impero, quella di Valeriano nel 257, infine Diocleziano in due successivi decreti (303 e 304) ordinò, pena l’esilio o la morte, la distruzione delle chiese cristiane, la consegna dei libri sacri, e soprattutto pretese che i cristiani facessero sacrifici agli dei. Il potere politico dovette tuttavia riconoscere che il Cristianesimo non poteva essere vinto. Così nel 313 Costantino, con l’Editto di Milano, ammise la libertà di culto per i cristiani in tutto l’impero; nel 360 Teodosio con l’editto di Tessalonica proclamò il Cristianesimo religione ufficiale dell’impero e nel 391 proibì i culti pagani. La Chiesa ottenne allora forti privilegi: si costituì un ingente patrimonio ecclesiastico; ai tribunali episcopali venne attribuita la giurisdizione civile: il paganesimo venne lentamente eliminato. Per molti secoli a venire il potere religioso Cristiano e il potere politico sarebbero stati strettamente legati e in rapporti di reciproca dipendenza.